Nutrienti ed antinutrienti: è veramente una lotta?

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Ciò che è opposto si concilia, dalle cose in contrasto nasce l'armonia più bella e tutto si genera per via contesa.

Eraclito

Ognuno di noi richiede energia per svolgere anche i processi che ai nostri occhi appaiono più semplici. Fare una passeggiata o leggere un libro sono azioni che fanno parte della nostra quotidianità e non ci soffermiamo a cercare di capire cosa ci permette di compiere queste azioni o quali sono i meccanismi sottesi. Attraverso l’alimentazione introduciamo i nutrienti cioè tutte quelle sostanze indispensabili che occorrono all’organismo per soddisfare le necessità quotidiane e per sostenere processi di crescita, sviluppo, mantenimento ed evoluzione delle strutture cellulari entrando a far parte delle stesse come elementi plastici primari.

La quantità e la composizione dei nutrienti sono strettamente correlate con il fabbisogno energetico giornaliero di ciascun organismo che a sua volta è diretta espressione dello stile di vita, dei diversi momenti fisiologici e della caratteristiche psicofisiche di ognuno di noi. In base all’apporto che gli organismi hanno di questi elementi, i nutrienti vengono suddivisi in macronutrienti e micronutrienti.

Siccome la natura non è antropocentrica, oltre ai nutrienti negli alimenti troviamo anche sostanze che interferiscono con l’assorbimento dei principi nutritivi alterando le funzioni metaboliche e digestive.

Queste sostanze sono state definite antinutrienti o fattori antinutrizionali. Sono molecole prodotte per la maggior parte dagli organismi vegetali a scopo difensivo contro le infezioni e le infestazioni.

Gli antinutrienti possono essere suddivisi in base al principio nutritivo con cui interagiscono:

  • sostanze che interferiscono con l’utilizzazione delle proteine (lectine, inibitori enzimatici come i resorcinoli)
  • sostanze che interferiscono con l’utilizzazione dei sali minerali (acido ossalico, fitati)
  • sostanze antivitaminiche che agiscono complessando e diminuendo la disponibilità delle vitamine su cui agiscono (avidina, dicumarolici, acido gluco-ascorbico)

È evidenza scientifica consolidata da molte pubblicazioni che la farina 00 si impoverisce di principi nutritivi per il grado di abburattamento più basso mentre più tale grado aumenta più si comprendono altri parti della cariosside e più si va ad arricchire lo sfarinato. I media fanno leva su questi concetti utilizzandoli in maniera distorta per alterare la percezione del consumatore nei confronti degli alimenti come è accaduto nei confronti della farina 00 che per interessi di puro marketing è stata addirittura chiamata “veleno”.

Potremmo benissimo fare lo stesso gioco ed iniziare del terrorismo nei confronti della farina integrale così tanto osannata partendo dall’evidenza scientifica che le parti cruscali esterne contengono antinutrienti come fitati, tannini e resorcinoli.

La farina 00 rispetto all’integrale perde sicuramente in vitamine ma non dimentichiamoci che le vitamine vengono inattivate durante la cottura e quindi questo discorso nutrizionalmente non regge. In ogni alimento sono presenti, in proporzioni variabili, diversi nutrienti.

Non esiste un alimento completo e perfetto che contenga tutte le sostanze nella giusta quantità e che sia in grado da solo di soddisfare tutte le richieste nutrizionali e di conseguenza non possiamo caricare la farina e i suoi derivati di tutte le nostre aspettative.

Se cerchiamo un prodotto che apporti vitamine, sali minerali o proteine decisamente il prodotto da scegliere non è questo.

Tornando alla nostra farina integrale, i tannini e resorcinoli presenti nella parte esterna del tegumento inibiscono gli enzimi digestivi e diversi lavori in letteratura ne descrivono questa attività, mentre l’acido fitico presente sempre nei cruscami che interferisce sull’assorbimento intestinale di cationi bivalenti come il calcio, il ferro e il magnesio.

È proprio sulla base di questa azione che parlando di alimentazione infantile si sconsiglia normalmente di dare ai bambini troppi cereali integrali o legumi: la motivazione è proprio dovuta alla presenza dei fitati che sequestrano minerali importantissimi per la crescita. Nei primi anni di vita del bambino sarebbe bene preferire per la sua alimentazione legumi decorticati e la varietà di cereali o pseudocereali con meno fitati come ad esempio orzo perlato, avena in fiocchi, quinoa ed amaranto.

Mi soffermo sull’acido fitico perché è quello che normalmente riveste maggior curiosità da parte dei consumatori e spero con questo articolo di lasciarvi in eredità una curiosità che vi porti ad ampliare in modo individuale successive consultazioni.

L’acido fitico si trova nel tegumento esterno dei cereali e all’interno di legumi e semi oleosi, serve alla nascita e sviluppo del germoglio, rappresentando fino all’80% della riserva di fosforo su cui la piantina appena nata può contare finché le radici non sono in grado di assorbirlo dal terreno.

Si trova soprattutto legato a minerali (calcio, ferro, magnesio, manganese, zinco) sotto forma di sali misti detti fitati.

L’acido fitico ha infatti la caratteristica di legarsi facilmente e solidamente con questi formando dei sali misti detti fitati ed è da qui che deriva la sua fama di elemento antinutritivo.

In molti alimenti si ritrova una quantità di fitati inferiore a quella prevedibile sulla base del tenore in acido fitico presente nelle materie prime. Ciò si spiega con l’attivazione di un enzima, la fitasi, che si trova in cereali, legumi e semi oleosi e si attiva con i processi di germinazione liberando i legami e degradando l’acido fitico a rendere i minerali e il fosforo disponibili per la crescita del germoglio.

Questo enzima oltre ad essere presente nei vegetali è presente anche nel tratto gastrointestinale di alcuni animali, ma non nell’uomo. Dunque per gli scopi biologici delle piante il meccanismo è perfetto. Per quanto riguarda l’uomo una serie di ricerche hanno dimostrato che una parte di acido fitico viene degradata sfruttando la fitasi presente nell’alimento viene attivata dall’ambiente a acido e caldo dello stomaco ed i minerali legati vengono liberati. La parte di acido fitico parzialmente degradata viene più facilmente digerita passando poi nell’intestino mentre quella rimasta integra passa indenne l’intestino tenue ma può subire un’ulteriore defosforilazione nel colon per effetto dei batteri intestinali. Ecco allora che anche qui ripetiamo l’importanza di mantenere in salute la comunità batterica intestinale e ritorna il discorso dell’equilibrio del microbiota intestinale.

Un’ultima considerazione: la scienza ammette che molti degli aspetti legati alla disponibilità e alla digestione dei minerali presenti in legumi e cereali devono ancora essere chiariti. Questo lascia spazio a teorie secondo cui la negatività dell’acido fitico sia stata spesso sopravvalutata e riesce a prendersi delle rivincite in quanto ultime ricerche lo considerano anche un potente antiossidante (per la sua azione chelante nei confronti del ferro noto agente proossidante), un agente che sequestra metalli tossici con una conseguente attività anticancerogena e antiosteoporotica.

Inoltre in alcune pubblicazioni la flora batterica intestinale ha dimostrato di avere comunque un altro effetto interessante: in seguito alla fermentazione delle fibre solubili (provenienti soprattutto da frutta e verdura) vengono prodotti acidi grassi a catena corta che si legano ai minerali e sono in grado di farli passare attraverso la mucosa intestinale, evitando che si leghino all’acido fitico ancora presente e rendendoli assimilabili.

È comunque possibile utilizzare pratiche che rendano maggiormente disponibili i nutrienti allontanando gli antinutrienti; si tratta di buone abitudini come per esempio:

  • procedere all’ammollo di cereali o legumi con acqua tiepida (40-45°) e con pH acido aggiungendo del succo di limone (1 cucchiaio di succo di limone per ogni chilo di cereali o legumi) in modo da riprodurre l’ambiente acido adatto alla germinazione. In questo modo dal 30 al 100% dell’acido fitico può essere neutralizzato.
  • mangiare fibre soprattutto quelle solubili presenti maggiormente in frutta e verdura perché come abbiamo visto producono degli acidi grassi a catena corta che annullano l’effetto negativo dell’acido fitico.
  • mangiare ogni tanto i germogli in quanto la germinazione attiva le fitasi endogene dei semi, degradando tutto l’acido fitico. Cereali e legumi (ma anche altri vegetali) così trattati risultano di eccellente digeribilità. I semi germogliati possono poi essere cotti e in molti casi consumati crudi. È un processo un po’ lungo (diversi giorni) e gestibile per lo più in ambito domestico, anche se dall’ortolano si iniziano anche a trovare questi prodotti.
  • procedere con una lunga lavorazione dell’impasto preparato con farina integrale in quanto questa neutralizza gran parte dell’acido fitico contenuto nella crusca e con una lievitazione per esempio con pasta madre oppure preparando impasti indiretti a base di lievito di birra (questo tipo di lievitazioni sono più efficaci di quelle fatte con impasto diretto). Teniamo anche presente che i lieviti chimici a base di bicarbonato aumentano il pH inibendo la fitasi.

Tutto questo ci porta quindi a ridimensionare ogni discorso terroristico che confonde i consumatori e conferma quanto abbiamo sempre detto cioè che puntare su una dieta il più possibile varia e differenziata, che rispetti la stagionalità degli alimenti, tenendo conto non solo del numero delle calorie contenute ma anche dalla tipologia di nutrienti che li compongono, è il modo più semplice e sicuro per garantire un equilibrio nutrizionale.

Scegliendo una dieta varia questi antinutrienti non generano stati morbosi mentre i problemi si manifestano se si scelgono in maniera monotona alimenti contententi antinutrienti.

 

Dott.ssa Sujem Benedetto
Biologa nutrizionista
Specialista in Genetica medica
Consulente nell’ambito del Progetto di Innovazione nutrizionale per Udinese Calcio Spa


BIBLIOGRAFIA:
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Sandberg, Andlid “Phytogenic and microbial phytases in human nutrition.” International Journal of Food Science and Technology n. 37 (2002), pag. 823-8
Leenhardt F, Levrat-Verny MA, Chanliaud E, Rémésy C. Moderate decrease of pH by sourdough fermentation is sufficient to reduce phytate content of whole wheat flour through endogenous phytase activity. J Agri Food Chem. 2005;1:98–e102.
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